L’ingiusto parere dell’Aja l’Onu promuove Pristina

La Corte di giustizia decreta la legalità  dell’indipendenza I serbi: ricorreremo. Ma la sentenza è una bomba nei Balcani

La Corte di giustizia decreta la legalità  dell’indipendenza I serbi: ricorreremo. Ma la sentenza è una bomba nei Balcani

Che rimane della giustizia internazionale? Quasi nulla dopo il parere, a maggioranza, della Corte dell’Aja. «Il Kosovo non ha violato il diritto internazionale proclamando il 17 febbraio del 2008 l’indipendenza» unilaterale dalla Serbia (votato a maggioranza dai 14 giudici dell’Aja, forse 9 a favore, 4 contro e uno non partecipante). Mentre scriviamo, il presidente della Corte che ha così aperto il lungo documento-parere sta ancora parlando, durerà in tutto quasi tre ore. Perché il testo è lungo, complesso, pieno di «se» e «ma», si nasconde dietro «il caso unico» da non generalizzare, per timore delle tante indipendenze proclamabili nel mondo. Sostanzialmente si arrampica sugli specchi. La sentenza infatti non era solo attesa in Serbia, a Pristina e con ansia febbrile in tutto il Kosovo e in particolare a Kosovska Mitrovica, la città del nord divisa in due tra una parte albanese e una serba. «Ricorreremo all’Assemblea dell’Onu, chiederemo un voto su questa sentenza sbagliata e ingiusta», ci dichiara il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic. E il presidente Boris Tadic insiste, non nascondendo ira e disappunto: «Comunque sia, noi non riconosceremo mai l’indipendenza del Kosovo».
Il fatto è che la sentenza era attesa a Bruxelles, a Mosca, a Washington, e in tutte le capitali dell’Unione europea dove è forte la tensione per lo status delle minoranze interne: almeno in Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro Nord, i paese europei che non hanno detto sì all’indipendenza di Pristina, riconosciuta solo da 66 paesi dei circa 197 delle Nazioni unite, e che divide il Consiglio di sicurezza permanente, con Russia e Cina apertamente contrarie. E infatti il Consiglio di sicurezza non riconosce quell’indipendenza che ora riceve parere favorevole dalla Corte dell’Aja. Parere non vincolante ma politicamente prestigioso, per un organismo residuale della giustizia internazionale nei conflitti tra stati che non ha mai modificato in concreto alcunché.
Concretamente dunque non cambia nulla, politicamente molto, anzi moltissimo. Basta saper ascoltare le parole, sempre diplomatiche ma di una durezza inusitata per lui, ancora del ministro Vuk Jeremic: «Con questa sentenza, certo non vincolante, con cui la Corte dell’Aja riconosce la secessione e le autorità di Pristina nessuna frontiera del mondo e della regione dei Balcani sarà più sicura». Già, che accadrà adesso in Bosnia Erzegovina dove la stessa comunità internazionale che riconosce la secessione dalla Serbia del Kosovo, vuole riunificare a forza la Bosnia che la pace di Dayton ha deciso sia composta da due entità statali, la Federazione musulmano-croata e la Repubblica serba di Bosnia? Se insisterà, sarà allora legittima la secessione dei serbi per aderire alla Serbia?
Intanto il parere dell’Aja è un contraccolpo per Belgrado e la nuova leadership democratica del presidente Tadic che su questo ha giocato molto del suo ruolo personale, chiedendo un voto all’Assemblea generale dell’Onu. Ora sembra un autogol, che ancora una volta mostra la buona fede dei serbi ma anche la scarsa considerazione dei nuovi poteri internazionali. Certo è che se è perfino comprensibile che la sovranità degli stati in epoca di globalizzazione perda rilievo e venga rimessa in discussione per finalità superiori, è chiaro che questo è positivo quando avviene consensualmente, ma genera conflitti aspri se accade che l’integrità territoriale di un paese venga rimessa in discussione in modo unilaterale. Come è stato per l’indipendenza autoproclamata del Kosovo, a conclusione di una devastante amministrazione Unmik-Onu e occupazione militare della Nato: una indipendenza a coronamento della guerra «umanitaria» di bombardamenti aerei. E dopo un anno e mezzo di finte trattative – già George W. Bush sponsorizzava la secessione – per le quali Belgrado era disposta anche ad una co-sovranità, come per l’Alto Adige, su una regione che considera, giustamente, culla della sua cultura, storia, identità nazionale e religiosa.
Ecco allora che le affermazioni della Corte appaiono non credibili anche dopo quasi tre ore di lettura del parere: perché una secessione unilaterale è una violazione del diritto nazionale (quindi anche del diritto tra stati) perché viola i diritti della maggioranza dei cittadini e nessuna istituzione internazionale può legittimare una indipendenza proclamata con questo metodo, tantopiù che c’erano pronunciamenti internazionale più che significativi in quanto a diritto, come la Risoluzione 1244 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che aveva assunto con un voto unanime la pace di Kumanovo tra Jugoslavia allora di Milosevic e la Nato, pace che pose fine alla, guerra garantendo all’Alleanza atlantica l’ingresso armato in Kosovo e a Belgrado di mantenere la sovranità su quella regione. Viola o non viola allora il diritto internazionale? La Corte dell’Aja dice che no perché «nella 1244 non c’erano proibizioni all’indipendenza»: eppure si riconosceva la sovranità sul Kosovo di Belgrado. Lo fa sapendo il contraccolpo che provoca a Belgrado e la festa di Pristina dove è al potere né più e né meno che la mafia, come riconoscono con altra mano gli stessi organismi internazionali.
Ora bisognerà molcire i serbi. Basteranno i nuovi accordi produttivi per la Fiat di Kragujevac (salvata dagli operai dopo i bombardamenti della Nato)? Basterà l’aver deciso tardivamente, ma il giorno prima della sentenza dell’Aja, di ri-arrestare l’ex premier kosovaro-albanese Ramush Haradinaj, il «gangster con le mani sporche di sangue», come l’ha definito Carla Del Ponte, ma macchiate esattamente come quelle dell’attuale primo ministro Hashim Thaqi? Insomma basterà l’intenzione di arrestare i criminali di guerra albanesi, pur lasciando intatta come risultato feroce dello jus belli, lo status di nazione per il Kosovo grande quanto l’Abruzzo nei turbolenti Balcani?
Cosiddetti osservatori internazionali preparano scenari di scambio: il nord ai serbi, la Valle di Presevo (che sta in Serbia) a Pristina, l’autonomia forte del nord e di Mitrovica. Balle. L’unica realtà sarà l’ulteriore desiderio di fuga delle decine di migliaia di serbi rimasti in Kosovo, la rabbia senza ragione di chi ha perso tutto senza alcun riconoscimento e che a nord del fiume Ibar vede la sua ultima enclave. A proposito, l’ambasciatore italiano Michael Giffoni dice che lì lui vede «miglioramenti»: qualcuno lo avverta del contrario, dei morti che ci sono stati, degli attentati, degli scontri poi anche alla frontiera macedone. E a Mitrovica, blindata dalla Nato e dalla polizia Eulex, la tensione è altissima. Il patriarca serbo, il moderato Irinej, ha invitato alla calma, ma ricordando che quella della sentenza dell’Aja è, nonostante tutto «una delle più grandi battaglie della storia per conservare la propria anima e la propria terra». Kosmet, Terra della Chiesa, chiamano i serbi il Kosovo che ora avranno le loro sedi spirituali e le proprietà dei monasteri in una nazione definitivamente nemica e ostile. È grave quel che accade sotto gli occhi del mondo. Oggi il nazionalismo serbo che ha sempre convissuto con un substrato di vittimismo, ha una ragione in più. Nei Balcani il passato è destinato a non passare. E la Corte dell’Aja da lontano conferma.

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