«I miei dubbi su Moro»

Intervista a Pietro Ingrao, che nel 1978 era presidente della Camera

Intervista a Pietro Ingrao, che nel 1978 era presidente della Camera «Ho letto la notizia dolorosa della morte della moglie di Moro e questo m’ha evocato domande. Che mi posi anche allora nei giorni aspri della prigionia atroce di quel leader democristiano e al momento terribile della sua fine. Ne discutemmo anche con voi del manifesto, sicuramente con Rossana, dinanzi ai fatti terribili che si svolsero in quei giorni. Oggi sento tornare dentro di me quel grumo d’interrogativi amarissimi.
Quali?
Le domande sono: cosa fu la vicenda delle Brigate Rosse, se vogliamo chiamarla così. Ho dei dubbi, intanto trovo che si sono mischiate insieme letture molto diverse di quella storia.
Mi pare di capire che il tuo sospetto è che non siano state proprio le Brigate Rosse.
Ma cos’erano quelle Brigate Rosse?
Cos’erano secondo te?
Lì ho degli interrogativi e soprattutto ci sono delle cose inspiegabili, almeno secondo me. Tutto il modo in cui fu condotta quell’inchiesta. Mi ricordo un episodio: quando la polizia va in via Gradoli a Roma, bussa, ha individuato il covo, ma sta lì sulla porta, non riceve risposta e se ne va via. Mi sembra una vicenda assurda.
Prima erano andati al paese di Gradoli…
Ecco, erano stati al paese di Gradoli. Sì e c’è un altro interrogativo, che è la famosa seduta spiritica a cui partecipa Prodi ed evoca quel nome: Gradoli. Beh, siamo al romanzo nero! Curioso! E tutto questo mi torna alla mente adesso: quella vicenda sta dinanzi a noi di nuovo nella figura di questa donna, quasi centenaria, che se ne va. Mi domando: non dobbiamo ancora interrogarci su che fu quell’episodio? Erano giuste certe letture che vennero dalle vostre fonti? O altre diverse? Come mai è rimasta del tutto sospesa quella questione? E mi piacerebbe sentire da voi se questo merita ancora delle riflessioni.
Io penso di sì, che meriti ancora una riflessione. Perché il brutto dell’Italia è che adesso bisogna riflettere ancora sulla strage di Borsellino. E tutte queste stragi non hanno avuto, come l’uccisione di Moro, nessuna spiegazione chiara. Noi come manifesto eravamo per la trattativa e contro la «fermezza». Per un ragionamento semplice, Pietro: se io sono più forte di te e tu mi ricatti, io mi mortifico anche, ma poi ti governo, ti comando: e non posso impuntarmi come se fossi pari a te.
Io più che la contestazione sulla condotta del governo, oggi ho in testa l’accaduto. Chi erano questi brigatisti? Cosa c’era di internazionale dietro le forze che intervennero in quella vicenda così torbida? Come mai l’Italia non seppe affrontare quell’episodio così crudo e così oscuro anche?
Tu insisti sull’oscurità. Ma cosa pensi: ad interventi esteri?
Sì, anche esteri. Perché no? Strano che non ci si sia posti questa domanda. Da dove: da destra, da sinistra? Dagli americani? Dai sovietici? Come mai tutto è stato ridotto a puro terrorismo senza connessioni politiche? Non ti nego che quel nome, Gradoli, adesso mi sta nella testa in un modo un po’ ostinato, quasi a dire ma che c’era dietro? Perché non sapemmo allora individuare le fonti e anche spiegarci l’atteggiamento di Moro che poi lo portò alla tomba?
L’atteggiamento di Moro prigioniero?
Esatto. Le lettere che mandava. Tu pensi che siano cose ormai lontane, o c’è qualcosa ancora da capire?
Sono cose che abbiamo rimosso, ma che sono ancora pesanti e le abbiamo rimosse proprio perché pesanti. Ma tu nelle lettere di Moro cosa vedi?
Un uomo vinto, che tentava disperatamente la salvezza rispetto a forze ben più grandi di lui.
Questo però è molto umano.
Soprattutto vorrei individuare bene i soggetti decisivi. Su questo invece la chiarezza non c’è, assolutamente: in che misura fu una vicenda – questa è poi la domanda più grave che mi pongo – non solo italiana, ma in cui agirono con peso decisivo forze di livello internazionale. Questo è il punto.
È un sospetto fondato. Mi ricordo che qualcuno disse: «Che stupide le Brigate Rosse ad ammazzare Moro: avrebbe fatto più danno da vivo che da morto».

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