“PERCHà‰ SOLO UN ROMANZO RACCONTA LA BOMBA DI BOLOGNA”
Quando uscì, nel 1990, il giallo di Loriano Macchiavelli fu sequestrato, per una querela da parte di uno degli imputati nel processo Ora torna in una nuova edizione “Da scrittore ho immaginato risposte per chi non le ha avute dai tribunali” “Non voglio placare l’ansia di verità : mi piacerebbe che il lettore alla fine fosse sconcertato”
“PERCHà‰ SOLO UN ROMANZO RACCONTA LA BOMBA DI BOLOGNA”
Quando uscì, nel 1990, il giallo di Loriano Macchiavelli fu sequestrato, per una querela da parte di uno degli imputati nel processo Ora torna in una nuova edizione “Da scrittore ho immaginato risposte per chi non le ha avute dai tribunali” “Non voglio placare l’ansia di verità : mi piacerebbe che il lettore alla fine fosse sconcertato” Abbiamo i mandanti. Abbiamo i moventi. Sappiamo finalmente tutto della Strage. Ma solo davanti al tribunale dell´immaginazione. E anche quello, come il tribunale vero, ha fatto una gran fatica a fare il suo mestiere. Il romanzo di Loriano Macchiavelli, padre della scuola giallista bolognese, sulla bomba del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, quasi seicento pagine tra noir e fantapolitica, è un libro resuscitato. Era il secondo di una trilogia sui misteri d´Italia, sotto lo pseudonimo di Jules Quicher, ipotetico ex agente segreto svizzero. «Mi sarei svelato più tardi: era solo un modo per dimostrare che anche gli italiani sanno scrivere thriller». Il primo della serie, Funerale dopo Ustica, fu un discreto successo. Ma Strage, uscito nel ‘90 da Rizzoli, restò in libreria solo una settimana. Uno degli imputati del processo si riconobbe in un personaggio, e querelò lo scrittore. Ci vollero diciotto mesi per arrivare all´assoluzione, «i più brutti della mia vita, ogni giorno una lettera minatoria, una minaccia telefonica». Ma il libro sequestrato non tornò sugli scaffali. Ci riesce solo oggi, per Einaudi (collana Stile Libero, pagg. 588, euro 21), un mese prima che l´orologio della stazione segni per la trentesima volta le ore 10.25, l´ora della bomba, degli 85 morti. «Era il mio omaggio a quegli innocenti, sono felice di poterlo finalmente rendere». Le pagine sui momenti drammatici del dopo-esplosione sono tra le rievocazioni più intense di quelle ore luttuose. Ma il libro è ben altro: è la spiegazione.
Era proprio necessario camminare su quel terreno minato?
«È un libro di docufiction, scritto quando il concetto ancora non esisteva. I romanzieri da sempre lavorano con la fantasia sulla realtà. Io ho scelto una realtà dolorosa, misteriosa, inquietante. È un diritto dello scrittore svelare con la scrittura quel che viene tenuto nascosto dagli interessi e dai poteri. Quando pronunciò il suo celebre “io so”, Pasolini questo intendeva. Non è significativo che un libro di fiction sia stato assolto per aver esercitato il diritto-dovere di cronaca?».
Ma la sua fantasia va oltre la cronaca. Lei ci dà la soluzione del mistero del 2 agosto.
«Ho immaginato un´ipotesi da scrittore per offrirla a chi forse non avrà mai una spiegazione da un tribunale. Ma è una spiegazione verosimile, che parte dai documenti. Ho letto faldoni alti così. Il compito di un narratore è esplorare il non detto nelle pieghe del detto».
Non è un libro consolatorio? La compensazione mitica di una verità negata?
«Non voglio placare nessuna ansia di verità. Proprio l´opposto. Mi piacerebbe che il lettore chiudesse il libro sconcertato, non disposto a fermarsi lì. Vorrei perfino che contestasse la mia ipotesi e ne cercasse una sua. Che la mia “fantasia documentata” riattizzasse la richiesta di verità documentata».
Mafia, massoneria, eversione di destra, servizi deviati, Cia… È il super-complotto. Ha dato al lettore medio di sinistra la spiegazione che desiderava?
«Ma è anche la mia spiegazione. Io prendo posizione, sostengo un´ipotesi romanzesca verso cui mi sospinge la mia cultura, e perché no anche la mia ideologia».
Il venerabile maestro, il politico navigato, l´integerrimo carabiniere, la coppia assassina: il lettore sembra invitato a dare un volto storico ai suoi personaggi “inventati”.
«Non c´è nessuna corrispondenza con persone reali che “torni”, e non è la solita cautela del narratore: sono volutamente personaggi mitici, archetipi: il gangster, l´eroe, Bonnie & Clyde… Uso dei “tipi” classici, delle figure retoriche, epiche, perché fanno parte del nostro immaginario».
Un giallista “di destra” potrebbe immaginare un´altra storia coi palestinesi, Carlos, magari le Br…
«Lo faccia! Potrei farlo anch´io, perché no… Magari alla fine salterebbe fuori di nuovo la Cia. Nel libro comunque c´è l´eco del ´77 e ci sono figure dell´estremismo di sinistra…».
Che si rivelano essere burattini dei servizi segreti…
«Rivendico il diritto di immaginare una ricostruzione possibile della storia, mettendo assieme dati di fatto e ipotesi narrative».
Ma il lettore non sa dove finisce il docu- e dove comincia la fiction.
«Il tempo per conoscere la verità documentale c´è stato: il mio libro fu scritto dieci anni dopo, ed esce trent´anni dopo. Senza verità definitive disponibili, non resta che lavorare con la fantasia su quel poco che sappiamo. Un buon giallo non fa altro che offrire interpretazioni di indizi. Anzi, semina indizi per ingannare il lettore. Se il lettore accettasse la mia ipotesi come se fosse vera, sbaglierebbe. Eco ha scritto che i romanzi sono fatti per essere indagati. Io scrivo per un lettore che non si fida di me».
Se un giudice ci avesse dato mandanti e moventi reali, lei avrebbe deciso lo stesso di ripubblicare il libro?
«Perché no? Non sarebbe più stata docu-fiction ma una ucronia, l´esplorazione immaginaria di una storia diversa. Tarantino l´ha fatto in Bastardi senza gloria: “come sarebbe andata se avessero ucciso Hitler”. Come narratore, per me sarebbe stata la stessa cosa. Come cittadino, avrei preferito la seconda».
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