Gli «antagonisti» Cgil si organizzano

SINDACATO Verso l’area programmatica

SINDACATO Verso l’area programmatica SALA BAGANZA (PARMA). Organizzare un’area sindacale è un problema nuovo, in Cgil. Non perché non ce ne siano state altre. Ma in altri tempi venivano organizzate sulla base di una comune visione politica. Stavolta invece riguarda proprio la visione del sindacato nei prossimi anni, il suo ruolo. Anche perché la crisi ha cambiato le carte in tavola. La lenta evoluzione in corso da molti anni  dal sindacato della «concertazione sociale» verso un modello dai contorni non chiari – è stata stravolta indicando la soluzione del «sindacato di mercato», ossia il sindacato «complice» teorizzato dal ministro del welfare, Maurizio Sacconi. Lo ricorda Gianni Rinaldini: «Siamo in una fase in cui le dimensioni dei processi globali e locali sono tali da mettere in dubbio l’esistenza del sindacato per come lo abbiamo conosciuto», in cui le «ipotesi di uscita dalla crisi puntano sul rilancio e l’accelerazione del modello che ha portato alla crisi». Fino a configurare «un futuro caratterizzato solo dalla competizione tra imprese su scala globale». Come ha detto Marchionne, «ogni impresa deve essere una macchina da guerra». E i lavoratori soldati da sacrificare.

Al sindacato non resta che scegliere tra «starci» o essere attaccato come «antagonista, eversivo, conflittuale». Perché il conflitto sociale non è più riconosciuto; solo quello tra le imprese conta istituzionalmente. Anche per chi ha dato vita, nel congresso, alla mozione «La Cgil che vogliamo» risultata poi minoritaria, si pone ormai il problema urgente di scegliere tra organizzare l’«area» all’interno delle varie categorie di lavoro oppure fermarsi al livello di «orientamento» interno ai gruppi dirigenti. I diversi percorsi dei quadri direttivi confluiti nella mozione congressuale pesano – ma fino a un certo punto – nella definizione delle scelte. A partire da quella di nominare o no un «portavoce» unitario.
Pomigliano, dicono tutti (Giorgio Cremaschi, Claudio Stacchini, ecc), «è un paradigma». Lì il primo dei «padroni illuminati» del paese ha delineato con chiarezza una scelta strategica: quello di «affrontare la crisi globale costruendo un’Italia low cost per inseguire una competitività selvaggia». L’accelerazione della Fiat delinea «la restaurazione di un liberismo estremo», nel quadro di una «globalizzazione autoritaria». Cisl e Uil sono totalmente in questa prospettiva, recitando il ruolo del sindacato «mutualistico e assistenziale», non più ugualitario. La Fiom ha reagito, come si sa. Ma la Cgil «è rimasta in mezzo, senza scegliere». Questo la mette a rischio di una «crisi drammatica dell’organizzione», perché in genere poi accade che sia «il mondo a decidere per te». Lo scopo primo dell’«area» è quindi quello di costringere la Cgil a reagire; e qui pesa con favore il ritorno di «sensibilità da parte dei lavoratori». La manifestazione nazionale del 16 ottobre convocata dalla Fiom diventa quindi la prima occasione vera per la «costruzione di un’opposizione di massa», con la convocazione – subito dopo – di un’assemblea nazionale dei delegati aperta a tutte le forze. E non sembrano davvero un semplice esercizio retorico, in questa sede, i diversi riferimenti anche al sindacato di base.
L’orizzonte temporale è molto ravvicinato. «A settembre – viene notato da molti – finiranno i fondi per gli ammortizzatori sociali». Molti lavoratori per cui nei mesi scorsi era stata contrattata la mobilità si troveranno nella tagliola delle «finestre mobili» previste dalla riforma tremontiana delle pensioni. Impossibilitati perciò ad andare in pensione e ormai fuori dalle aziende. Ma allo stesso tempo l’orizzonte geografico si allarga. «Siamo di fronte alla prima finanziaria europea, che si applica a tutti i paesi, senza riguardo al colore del governo in carica». E alla rinuncia all’unico elemento di «diversità» del continente di fronte al resto del mondo: «lo stato sociale». Da un lato dunque l’esigenza di un «sindacato europeo conflittuale» (ma al momento prevale la divisione «nazionalistica, a seconda di dove sono collocati gli stabilimenti»), dall’altra la necessità di «organizzare l’area a partire dal livello dei delegati e dei lavoratori».

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