Il quartier generale bersaniano resta freddo sulla corsa del presidente pugliese: si candidi pure, ma per la sua parte. E invece l’ambizione è un’altra: alle primarie di coalizione, andare oltre il 15 per cento che fu di Bertinotti, puntare a essere il vero candidato della «base» ai gazebo. Sempreché ci si vada
Polemiche zero con la nomenklatura, fuori dalle correnti Obiettivo: sedurre la base sfiduciata e portarla ai gazebo
Il quartier generale bersaniano resta freddo sulla corsa del presidente pugliese: si candidi pure, ma per la sua parte. E invece l’ambizione è un’altra: alle primarie di coalizione, andare oltre il 15 per cento che fu di Bertinotti, puntare a essere il vero candidato della «base» ai gazebo. Sempreché ci si vada
Polemiche zero con la nomenklatura, fuori dalle correnti Obiettivo: sedurre la base sfiduciata e portarla ai gazebo ROMA. Battute, scherzi. Ieri mattina Nichi Vendola ha fatto una «vasca» a Montecitorio, la prima dopo gli stati generali delle sue fabbriche a Bari. E gli ex colleghi l’hanno accolto con allegria nella sua nuova veste di sfidante di Bersani alle primarie. Motivo ufficiale della presenza alla camera: una riunione con i suoi. In Transatlantico una parola con Flavia Perina e Gennaro Malgieri, due con il ministro Brunetta, un saluto ad Antonio Matarrese, un colloquio appartato – si fa per dire, sotto gli occhi dei cronisti – con Pier Ferdinando Casini, scortato da Franco Giordano. Si avvicina un Gianfranco Fini versione cazzeggio: «Io e te, Franco, siamo la nuova sinistra, loro due il nuovo centro».
Con quelli del Pd invece i saluti sono freddini. Si fa avanti Enrico Letta, sorriso di buona creanza. Due passi più in là, alla buvette, c’è Massimo D’Alema che parla con Paolo Bonaiuti. Con Vendola, appena una stretta di mano. A detta dei suoi, il presidente di Italianieuropei non ha preso per niente bene l’autocandidatura di Vendola alle primarie.Una settimana fa, in un breve vis-à-vis a Bruxelles, gli avrebbe detto la sua sulla scelta. E non è stato un incoraggiamento.
Del resto tutta la nomenklatura Pd non ha digerito bene la mossa di Vendola. Commentando più diplomaticamente, o meno. Come Beppe Fioroni: «Dobbiamo smetterla di pensare a primarie stile Pci anni Sessanta, altrimenti non vinceremo mai». Vendola, ieri, non ha risposto. Ha polemizzato con Sandro Bondi («Vendola rappresenta una delle finzioni più clamorose della sinistra italiana», e lui: «Spiace molto che una persona garbata anche con gli avversari si sia lasciata andare ad un atteggiamento insultante»). Ma a chi, anche nel Pd, poneva il problema della sanità in Puglia ha risposto con la sua ricetta: «Rinnovamento della selezione dei manager, database delle strutture private accreditate, e controlli degli appalti» (ieri del resto era a Roma anche per essere ascoltato dalla commissione d’inchiesta di Ignazio Marino sulla sanità pubblica). E per lo più ha tenuto bassi i toni verso chi, in casa Pd, continua a fargli arrivare il consiglio di pensare alla Puglia. Atteggiamento non casuale. La strategia dell’aspirante sfidante – sempreché il governo non cada prima del 2013 – è chiara: puntare al cuore della sfiduciata «base pd», sballottata fra un «invereconda» all’indirizzo della manovra del ministro Tremonti e un ammiccamento a un governo «di transizione» a guida Tremonti stesso. Insistere su contenuti di sinistra popolare. E così ieri ha fatto un appello per la partecipazione alla manifestazione della Fiom del 16 ottobre. Il che non esclude anche l’affondo sul popolo delle partite Iva e di elettorati non tradizionalmente di sinistra.
Ma la prima mossa resta il corteggiamento del popolo Pd, mettendo la sordina alle polemiche con i dirigenti, per evitare la chiusura autodifensiva. Smarcandosi dal suo stesso partito Sinistra ecologia e libertà, smarcandosi persino dai compagni della sinistra radicale, che hanno accolto platealmente male la sua corsa alle primarie. E gli hanno fatto persino un favore a rendere chiaro il fatto che lui non ha intenzione di fare il candidato di sinistra di una coalizione. Punta molto più in là del 15 per cento che Bertinotti prese nel 2005 alle primarie di Prodi. Aleno nelle ambizioni.
E chi conosce bene le tappe di questa strategia, spiega che così vanno lette le partecipazioni alla scuola di politica di Veltroni (domenica 25), così come la presenza di Fausto Bertinotti – che protegge dalla sua posizione di ‘studioso’ la corsa del pupillo – al seminario di Goffredo Bettini. Gesti di attenzione per chi lo interpella, a patto che lo lasci fuori dalle dinamiche correntizie. Che arriveranno fino alle primarie, ammesso che si facciano: perché la prima cosa che Vendola deve ottenere, sono le primarie. Che un Pd timoroso di essere sconfitto da un ‘papa straniero’ potrebbe essere tentato di sconvocare. «Vendola ha sbagliato i tempi, ma è legittimo che si candidi per la sinistra della coalizione alle primarie. Sempre che ci siano, e chissà poi quando», minimizzava ieri Nico Stumpo, bersaniano di osservanza dalemiana. Sintetizzando il messaggio del Nazareno a Vendola: candidato sì, ma solo della sinistra. E, comunque, sarà il Pd a decidere se ai gazebo si andrà o no.
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