Ustica, trent’anni a caccia della verità 

27 GIUGNO Le rogatorie dei pm e le promesse di Parigi

27 GIUGNO Le rogatorie dei pm e le promesse di Parigi
BOLOGNA. A trent’anni di distanza dire che qualcosa si muove può sembrare forse ingenuo ma da quel giorno del febbraio 2008 in cui il presidente Francesco Cossiga, in un’intervista a Sky tg24, parlò esplicitamente di una responsabilità francese nella strage di Ustica, il lavoro dei magistrati è ripreso con tenacia e perseveranza nella ricerca di una verità che era stata già delineata dal giudice Rosario Priore nel 1999. Nella sua ordinanza dopo nove anni di istruttoria, Priore scrisse che il Dc9 fu «vittima di un’azione militare di intercettamento messa in atto, verosimilmente, nei confronti dell’aereo che era nascosto sotto di esso». Un’azione di guerra in cui l’aereo italiano, partito in ritardo dall’aeroporto di Bologna, rimase coinvolto mentre si stava avvicinando alla Sicilia per atterrare a Palermo.
I pm Erminio Amelio e Maria Monteleone che hanno riaperto l’inchiesta e ascoltato diverse persone si muovono da una certezza: la notte del 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica il DC9 non era solo ma accanto a lui c’erano altri aerei militari. Lo dicono i risultati dei tracciati radar. E’ da questo assunto che il lavoro dei magistrati sta proseguendo mentre tre giorni fa la Francia si è detta «pronta a cooperare» quando la giustizia italiana inoltrerà delle rogatorie. Parole impegnative quelle pronunciate da Berbard Valero, portavoce del ministro degli esteri francese, alla luce del fatto che i pm romani hanno già fatto partire le richieste di rogatorie. Alla Francia vengono chieste notizie sul traffico aereo militare al largo di Ustica quella sera. C’erano aerei militari francesi in volo? Le portaerei Foch e Clemenceau dove si trovavano, l’attività della base dell’aereonautica militare francese di Solenzara in Corsica quale è stata? Domande che in parte erano state fatte già dal giudice Priore che su Solenzara si sentì rispondere che l’attività della base era cessata alle 17 e poi acquisì agli atti la testimonianza dell’ex generale dei carabinieri Niccolò Bozzo che si trovava là in vacanza proprio il 27 giugno 1980 e non riuscì a dormire per il frastuono degli aerei che andavano e venivano dalla base fino a tarda ora. I magistrati partono dall’affollamento aereo nel cielo e si muovono con grande prudenza tra l’ipotesi del missile e quella della cosiddetta «near collision», una quasi collisione di uno degli aerei attaccanti con il DC9 che aveva sotto la sua pancia un altro velivolo che si nascondeva in questo modo. Ma una rogatoria è stata inoltrata dai pm romani anche alla Libia per sapere cosa è risultato dagli accertamenti che i libici hanno potuto eseguire sul Mig abbattuto e ritrovato sulla Sila e sul cadavere del suo pilota. Che il bersaglio potesse essere il presidente libico Gheddafi è infatti una tesi che oggi Priore avanza nel suo libro «Intrigo Internazionale» edito dalla casa editrice Chiare Lettere. Che ad agire siano stati i francesi non è stato solo l’ex presidente Cossiga a dirlo.
Prima di lui, ma solo temporalmente visto che le sue affermazioni erano racchiuse nei verbali del 2008 dei magistrati della direzione distrettuale antimafia palermitani che lo stavano sentendo nell’ambito del processo per favoreggiamento aggravato alla mafia al generale dei carabinieri Mario Mori, a parlare di una responsabilità francese è stato Massimo Ciancimino. Il figlio di Vito, il sindaco mafioso di Palermo, nel giugno 1980 aveva quasi 18 anni. Ai magistrati palermitani aveva detto di ricordare che quella sera il padre fu chiamato in relazione a quello che era successo al largo di Ustica e si incontrò con il ministro delle difesa Ruffini. Vito Ciancimino era stato allertato, questo è il senso delle dichiarazioni del figlio Massimo, perché «si era saputo dell’aereo francese che aveva abbattuto per sbaglio il DC9 e bisognava allertare un’operazione di copertura nel territorio affinchè la notizia non venisse» diffusa. Secondo Ciancimino jr che è stato sentito già quattro volte dai pm Amelio e Monteleone, che hanno ricevuto i verbali dai colleghi palermitani, furono i Servizi a tenere i contatti con il padre per mettere le cose a posto. I magistrati romani stanno ovviamente cercando riscontri alle affermazioni del figlio di don Vito che sarà di nuovo sentito.
Nei giorni che separano dal trentennale è tornata anche la tesi della bomba a bordo, un’ipotesi che per i pm romani non ha consistenza. E’ una causa esterna quella che ha portato il DC9 a scomparire dai radar per inabissarsi poi nelle profondità nel Tirreno con 81 persone a bordo. La verità la chiedono con perseveranza anche i familiari delle vittime con Daria Bonfietti che non a caso qualche giorno fa nel presentare le iniziative per il trentennale della strage ha detto «siamo assediati dalla verità, ora vogliamo i nomi dei responsabili». La presidente dell’associazione sa bene che i giudici da soli ad un certo punto si devono fermare e devono entrare in scena i governi. E’ più di un ragionamento quello dei familiari, è un grido che finora è caduto nel vuoto. Ora la Francia promette collaborazione. E non si può far altro che aspettare.

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