“Raffiche, esplosioni, sangue nel buio quaranta minuti di terrore e di guerra”

Un deputato tedesco racconta l’assalto alla Mavi Marmara

È stato facile sopraffare i primi soldati calatisi dagli elicotteri con le funi e disarmarli prima che riuscissero a imbracciare i mitra Ne hanno catturati tre

Portavano giù i nostri feriti, uno dopo l’altro Il pronto soccorso non bastava più Uno di loro ho capito subito che non ce l’avrebbe fatta

Un deputato tedesco racconta l’assalto alla Mavi Marmara

È stato facile sopraffare i primi soldati calatisi dagli elicotteri con le funi e disarmarli prima che riuscissero a imbracciare i mitra Ne hanno catturati tre

Portavano giù i nostri feriti, uno dopo l’altro Il pronto soccorso non bastava più Uno di loro ho capito subito che non ce l’avrebbe fatta

BERLINO – «Quaranta minuti è durato il loro attacco. Ho visto prima i loro feriti, feriti lievi presi prigionieri da chi di noi sul ponte superiore tentava una resistenza disperata, coi bastoni o a mani nude. Poi i nostri, feriti gravi in pozze di sangue, “questo non ce la farà”, mi dicevo. Attorno a noi, raffiche di mitra e il frastuono degli elicotteri. Quaranta minuti tremendi, ma non c´era tempo per pensare che avremmo potuto morire». Norman Paech, energico 72enne, ex deputato della Linke, la sinistra tedesca, era uno degli attivisti europei sulla Mavi Marmara. Ecco il suo racconto.

Herr Paech, vi aspettavate l´attacco o siete stati colti di sorpresa?

«Qualcosa ci aspettavamo, tutti noi 600 o 700 di oltre 30 nazioni sulle navi della pace. Sapevamo come gli israeliani conducono la guerra, con le uccisioni mirate di civili a Gaza. Pensavamo magari a un arrembaggio, non a tanta brutalità da guerra».

Racconti, com´è cominciato?

«Attorno alle 23 siamo stati svegliati da un allarme. L´altoparlante ci ha detto di andare tutti sul ponte superiore e indossare i salvagente. Un´esercitazione per tenerci attivi, ho pensato. Caos tranquillo, tutti di corsa di su, i giornalisti intervistavano. Un´ora dopo, cessato allarme. Poi, alle 4,30 del mattino, boati fortissimi».

Cosa stava accadendo?

«Non capivo nulla. Gommoni veloci avevano circondato le nostre navi. Poi è cominciato il peggio: il frastuono degli elicotteri, spari, sibili di schegge. Un mio amico palestinese è corso da me, mi ha detto “eccoli, arrivano gli israeliani”. Ho sentito raffiche di mitra, detonazioni di granate, e sono scesi giù dagli elicotteri. Sparando, subito. Col mio amico siamo rimasti sul ponte inferiore. Sentivamo gli spari, l´odore acre dei lacrimogeni. Abbiamo cominciato a mordere limoni. Accanto a noi la stanza del pronto soccorso. Prima i militanti della pace vi hanno portato soldati israeliani leggermente feriti».

Prigionieri dei pacifisti?

«Erano, credo, i primi soldati calatisi giù con le funi, è stato facile sopraffarli a mani nude o coi bastoni e disarmarli prima che lasciassero le funi e imbracciassero i mitra. Ne hanno catturati tre, mi pare. Li hanno portati al pronto soccorso, dottori e medici nostri li hanno medicati come potevano. Erano feriti leggeri, da percosse. Poi rapidamente è cambiato tutto. Hanno portato giù i nostri feriti, feriti gravi. Cercavo di fotografare tutto, come molti altri, ma poi gli israeliani ci hanno sequestrato fotocamere, videocamere, cellulari, tutto. Solo poche immagini trasmesse via satellite documentano quei 40 minuti tremendi».

Com´è continuata la battaglia?

«Sopra, i rumori della guerra. Raffiche, elicotteri, granate, le urla dei nostri che venivano feriti. Erano portati giù uno dopo l´altro, il pronto soccorso non bastava più. A uno i nostri medici hanno dato ossigeno, poi infusioni, mi sono detto subito che non ce l´avrebbe fatta. L´ambulatorio improvvisato era pieno di sangue. Un parlamentare della Knesset e altri di noi si sono sporti dagli oblò sventolando drappi bianchi in segno di resa, chiedendo aiuto per i feriti. In risposta gli puntavano i mitra contro. Altri militanti hanno cercato di impedire agli israeliani di entrare nella sala comando, sono stati sopraffatti».

Ha avuto paura di morire?

«Non si ha il tempo di pensarci. Cerchi solo di dominare le tue reazioni quando vedi la guerra attorno a te. Alle 5,10 circa, il capitano ci ha ordinato di sederci tutti dov´eravamo, e di non opporre resistenza. Ai soldati superarmati della prima ondata d´attacco si sono affiancati altri, in uniformi nere. Tutti erano incappucciati. I “neri”, forse poliziotti di unità speciali, erano molto più brutali dei primi attaccanti. Spingevano coi bastoni chiunque voleva alzarsi o andare al bagno. Ci hanno costretto tutti a inginocchiarci, ci hanno ammanettato coi dolorosi fili di plastica dietro la schiena. Tutti avevamo il salvagente arancione, come l´uniforme dei prigionieri di Guantanamo. Poco dopo hanno tolto le manette a quasi tutti gli europei. Ma non a chi aveva un aspetto turco o arabo. Né a chi sembrava loro più ostinato a resistere».

E com´è continuata?

«Ci hanno riunito in una sala, ci hanno dato biscotti e acqua. Avevano sfasciato tutto, rovesciato tavoli, devastato ogni bagaglio. Hanno evacuato feriti e caduti con molti elicotteri. Scortati da tre corvette e dai gommoni Zodiac, ci hanno portato – sette ore di navigazione – ad Ashdod. Là, ci hanno sbarcato uno a uno. Controllo d´identità e richiesta di firmare un documento con cui accettavamo la deportazione, cioè l´espulsione, entro 72 ore. Tra noi tedeschi, cinque in totale, c´erano anche due deputate, questo li ha resi forse più gentili con noi. Gli italiani sono ancora detenuti. Chi rifiutava di firmare, come un giornalista della Frankfurter, è stato trasferito nel carcere per la detenzione pre-espulsione a Beersheva».

Come si è sentito, tornato in libertà?

«Sopraffatto dalle emozioni, vedendo la copertura dei media. Mi sono anche detto con tristezza che ci sono voluti tanti morti e 50 feriti per catturare questa attenzione. Ma non molliamo, prepariamo nuove azioni».

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password