Le passioni forti di un’era precaria

Un volume collettivo dedicato alla crisi
LIBRI AA. VV. LE PASSIONI DELLA CRISI, MANIFESTOLIBRI, PP. 174, EURO 23

Un volume collettivo dedicato alla crisi
LIBRI AA. VV. LE PASSIONI DELLA CRISI, MANIFESTOLIBRI, PP. 174, EURO 23
Ancora molto poco è stato detto sulle ragioni dell’assordante silenzio che circonda il lavoro della conoscenza, quella forma di vita tendenzialmente maggioritaria sulla quale si regge un’economia che svalorizza ogni risorsa intellettuale, la rende intercambiabile e, per questo, la precarizza oltre ogni limite tollerabile. Le ragioni di questo mortifero, quanto paradossale, andamento sono strutturali e vanno cercate nello spostamento del valore dall’intelligenza al mattone, dal lavoro alla rendita, dal lavoro vivo al lavoro morto che sta all’origine dell’esplosione della bolla finanziaria avvenuta nel 2008. La crisi che ne è seguita è stata più volte scontornata dai suoi picchi più alti, sebbene anche l’ultimo disperato tentativo abbia ormai gettato la maschera.
Ciò che invece è più conosciuto – e per ragioni che sono auto-evidenti – è l’effetto che tale contraddizione ha ottenuto sulla condizione soggettiva del lavoro della conoscenza. E’ sulla trama intima delle passioni che ordiscono la vita che si esercita la durezza della crisi. Oggi come ieri. Un punto di osservazione sullo stato di questa aggressione è rappresentato dai saggi raccolti ne Le passioni della crisi, il nuovo volume collettivo curato dalla Libera Università Metropolitana (Lum) che da alcuni anni organizza seminari all’interno dell’atelier romano di Esc. Cinque dei nove saggi sono dedicati alle passioni negative o comunque ambivalenti: spaesamento (Agostino Petrillo), paranoia (Alessandro Pandolfi), angoscia (Augusto Illuminati), risentimento (Marco Bascetta), Malinconia (Marco Mazzeo) e, infine, sulla passione della politica (Sandro Chignola). Stefania Consigliere indaga il rapporto tra piacere e dolore, mentre Michael Hardt e Antonio Negri parlano dell’amore – anticipazione da Commonwealth, un volume dedicato sia alla crisi della sovranità che alle politica radicali «dentro e contro l’impero» che sta per uscire per Rizzoli. In un articolato intervento sulla logica delle passioni, Paolo Virno continua il suo lavoro di scavo nell’antropologia contemporanea, in attesa della pubblicazione del suo E così via all’infinito. Logica e antropologia, primo volume, che sarà pubblicato da Bolalti, di una ricerca più ampia.
Da alcune delle pagine del libro emerge una forma di vita che ha un palcoscenico: le metropoli contemporanee, luoghi privi di centro esistenziale e concettuale dove l’angoscia è il sintomo prevalente di una subordinazione potenzialmente infinita. Una forma di vita sradicata risultato innanzitutto di divorzio dalle costanti della riproduzione naturale e dall’immissione di choc percettivi prodotti da continue innovazioni ed altrettanto violenti riflussi depressivi. Una situazione degradante della potenza collettiva attribuita al mitologema del pensiero moderno che erano le masse. Vige il regime dell’individuo proprietario che nel trentennio della controrivoluzione neo-liberista ha perso molte delle voci che avevano animato il suo imbarazzante giubileo.
In queste metropoli ci sono masse di sradicati che hanno superato l’antico recinto dell’esercito industriale di riserva in cui Marx li aveva criticamente collocati. Sono corpi e menti ad alto contenuto di valore, ma non riconosciuto, disperso e rimosso. Sono singolarità qualunque, ormai maggioritarie, spossessate da ogni risorsa di azione a disposizione del sapere-potere del capitale.
Parlando in termini «post-operaisti», una tradizione alla quale una buona parte degli interventi potrebbe essere ricondotta, quella spalancata nel libro è la general psyco-pathology del general intellect. Su questo rovesciamento oscuro dell’altrettanto difficile concetto marxiano – alla base del quale c’è la teoria raffinatissima del «lavoro astratto» – si è giocata la posta migliore di questa tradizione sin dal suo momento originario: il volume collettivo Sentimenti dell’aldiqua, pubblicato dal benemerito editore Theoria, ormai scomparso.
In una memorabile recensione del 1990 su questo giornale, Franco Fortini scrisse il proprio dubbio. Non sarà forse che questi autori, di cui riconobbe il valore, resistano a riconoscersi proletarizzati nel proprio lavoro intellettuale, ossia salariati, e al tempo stesso fruitori di un privilegio di conoscenze?
A distanza di vent’anni, si può dire che il dubbio fortiniano si spiegava con una lettura della storia degli intellettuali alla quale, probabilmente, i suoi interlocutori non appartenevano fino in fondo. Al tempo essi dimostrarono che il lavoro della conoscenza non era privilegio solo degli intellettuali, ma condizione diffusa della produzione capitalistica. Oggi, tale condizione caratterizza la precarizzazione di massa risultato di una guerra senza tregua contro la produzione della conoscenza che occupa una posizione centrale in un’economia finanziarizzata nella quale il rapporto tra lavoro produttivo e improduttivo, come quello tra produzione e riproduzione, è radicalmente cambiato. Fortini temeva l’evaporazione del conflitto tra dominanti e dominati a favore di un’apologia della tecnologia in sé. Così non è stato. In compenso, la contraddizione dell’economia della conoscenza arriverà ben presto ad esiti esplosivi azzoppando il ceto medio in molti paesi europei, dopo avere sconfitto e destrutturato la classe operaia.
Ma quel dubbio permane e dà voce al problema che il pensiero politico, e non solo quello post-operaista, non è riuscito ancora a risolvere. Quale forma politica – e quale soggetto – esprimerà il nuovo assetto tra dominati e dominanti? A quali capacità trasformative, se ce ne saranno, potrà fare appello? Di tutto questo ancora non sappiamo. Ma, certo, di quello di cui non si può parlare è sempre meno possibile tacere.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password