In semilibertà  scortata

Segio e Ronconi erano stati gli ultimi detenuti dell’area omogenea delle carceri Nuove di Torino a usufruire di benefici

Non c’è pace per Susanna Ronconi e Sergio Segio. Dissociatisi entrambi da tempo dalla lotta armata, erano riusciti a ottenere il permesso di lavorare all’esterno del carcere, previsto dalla legge Gozzini di riforma carceraria, dopo aver fatto un lungo sciopero della fame nello corso autunno. Erano stati gli ultimi detenuti dell’area omogenea delle carceri Nuove di Torino a usufruire di tali benefici.

Susanna Ronconi da dicembre e Sergio Segio da aprile lavorano al Gruppo Abele di don Ciotti: escono al mattino, si recano al lavoro seguendo orari e percorsi prestabiliti, rientrano in carcere alla sera.

Si occupano di assistenza ai tossicodipendenti e il lavoro certo non manca. Ma da una settimana a questa parte, senza motivazioni esplicite, sono “sotto scorta”; otto agenti di custodia si danno il cambio per accompagnarli e vigilare che i due, che lavorano in luoghi diversi, non commettano violazioni del regolamento.

Inoltre, proprio ieri, è stato loro notificato che non potranno più usufruire dei permessi che la legge prevede (45 giorni in un anno).

Si riapre così una vicenda che aveva vissuto un lungo periodo di tensione nel settembre dell’89, quando Segio e Ronconi avevano dovuto ricorrere allo sciopero della fame per riuscire a ottenere il permesso di lavorare all’esterno: uno sciopero che li aveva portati anche al ricovero ospedaliero e che aveva fatto schierare al loro fianco una parte significativa del mondo politico e culturale torinese e non.

Ed è forse in questa loro storia che vanno anche ricercate le ragioni dell’attuale provvedimento restrittivo.

Susanna Ronconi e Sergio Segio non hanno mai abbandonato l’impegno politico e hanno vissuto la dissociazione dalla lotta armata come un percorso di critica politica, parallelamente alle iniziative per il miglioramento delle condizioni di vita del mondo carcerario.

Ultimamente erano impegnati nel comitato «3 giugno», nato in seguito all’incendio del carcere delle Vallette (in cui morirono alcune detenute) e si occupavano della condizione carceraria particolarmente drammatica dei sieropositivi.

L’imposizione della scorta e la revoca dei permessi sembrano provvedimenti talmente immotivati da far sorgere il dubbio che traggano origine dalla storia dei due e dal loro attuale impegno.

Anche perché non esiste nessuna motivazione esplicita se non la generica accusa «d’aver violato il programma trattamentale redatto» nei loro confronti; che, in altri termini, potrebbe voler dire che sono accusati di essersi fermati a prendere il caffé in un bar mentre si recavano al lavoro o aver fatto una deviazione lungo il percorso previsto.

Inoltre sembra che particolare scandalo abbiano provocato alcuni fax inviati alla stampa per conto dell’associazione «3 giugno» (che ha sede presso il Gruppo Abele); quasi che tali fax costituissero una prova di violazione dell’articolo 21 della legge Gozzini.

 

(“Il manifesto”, 28 luglio 1990)

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