ROMA. Sergio Segio, ex leader di Prima Linea ha preso le distanze dal film di Renato De Maria, presentato ieri alla stampa e tratto dal suo libro “Miccia corta”, oltre che per motivi politici, per la scelta della produzione di richiedere il finanziamento pubblico.
Oggi Segio non ha voluto commentare il film ma le motivazioni del suo dissenso – dice – sono ampiamente spiegate nella prefazione alla riedizione del libro “Miccia corta” di prossima uscita. Per Segio, dunque, il film è un’opera meritoria: che “omette però un concetto basilare, per raccontare e comprendere davvero gli anni di piombo: noi armati abbiamo avuto torto, tragicamente torto, terribilmente torto, inescusabilmente torto”. “Ma – aggiunge – Loro non avevano ragione. E per loro intendo gli apparati statali compromessi con lo stragismo”.
“Per loro – dice ancora Segio – intendo il sistema capitalistico di intenso sfruttamento e delle stragi sul lavoro (quanti ricordano che gli operai chiamavano la Fiat, evidentemente con qualche ragione, la Feroce?).
Per loro intendo i rappresentanti politici di governo, gli uomini di partito che hanno alimentato la strategia della tensione, che hanno tramato per costruire svolte autoritarie e golpiste in Italia, dalla Rosa dei Venti alla P2″.
“E anche chi non era in quella cabina di regia – dice ancora – ne è stato in molti tratti complice omertoso, per realismo politico e fedeltà al sistema se non per convinzione.
Uomini e apparati che hanno gestito i risvolti sporchi della Guerra fredda e il volto opaco della democrazia italiana”. “Al film ‘La prima linea’ – dice Segio, da anni impegnato nel sociale dopo aver scontato oltre venti anni di carcere – va senz’altro riconosciuta un’iniziale intenzione coraggiosa: per la prima volta, e per giunta in tempi incattiviti e revisionisti come gli attuali, una pellicola prende le mosse da un punto di vista interno alla lotta armata. Come a dire: la storia si può raccontare anche a partire dai vinti e dalla parte del torto”.
“Ma il film – aggiunge l’ex terrorista – risulta alla fine decisamente meno ardito, perché omette le origini, le radici, le culture, i movimenti, insomma i capitoli precedenti la lotta armata, senza i quali la storia diventa incomprensibile”. Per Segio, dunque, il film, “assai liberamente ispirato al mio libro, ne tradisce una caratteristica fondamentale: quella che riassume l’albero genealogico, i riferimenti ideologici, culturali, le famiglie di provenienza, le motivazioni, le aspirazioni, per quanto infine pervertite dalle pratiche.
Con il rischio che si tratteggi un Romanzo criminale, anziché fornire necessari elementi di lettura, comprensione e contestualizzazione su quello che è stato, comunque, un fenomeno dalla radice politica e sociale”.
“Quando, nel 2006, il regista Renato De Maria mi contattò per propormi di costruire un film a partire da ‘Miccia corta’ – racconta – il sentimento prevalente fu quello della preoccupazione: mi rendevo conto benissimo di quanti attacchi personali e polemiche astiose ciò avrebbe provocato. D’altro canto, il ritmo cinematografico è quello che ritenevo e ritengo maggiormente adatto a raccontare la vicenda che sta al centro del libro e, più in generale, la storia degli anni Settanta, bruciati veloci. Come una miccia corta, appunto”. “Ciò che non avevo del tutto previsto, nella mia ritrovata e un po’ ingenua fiducia nella democrazia – prosegue Segio – era che il film avrebbe dato luogo, oltre che a un mio linciaggio quotidiano a mezzo stampa, a una vera e propria operazione censoria, con ricorrenti tentativi di impedirne la realizzazione”.
“La minacciosa procedura disposta dal ministro dei Beni culturali, che ha accompagnato lo sviluppo del progetto filmico, non ha in effetti precedenti in nessun paese, quanto meno in quelli a regime democratico”. “Si sono insomma imposte condizioni e paletti affinché il film venisse scritto e girato a comando, con la libertà artistica legata al guinzaglio e minacciata di rappresaglia economica, con un meccanismo degno dei tempi di McCarthy”. “Giudicheranno gli spettatori del film se e quanto gli effetti di queste continue pressioni e degli infiniti vincoli sono rintracciabili nel prodotto finale”. “Ormai – conclude l’ex leader di Prima Linea – si vuole sia questa la Storia, l’unica storia da raccontare di quegli anni: quella che sostiene una ferocia e un’esclusiva responsabilità delle organizzazioni armate di sinistra. Così che tutti continuino a guardare il dito, dimenticandosi della luna, vale a dire degli armadi della vergogna e della insanguinata realpolitik delle istituzioni e dei governi della Prima Repubblica”.
0 comments